Fabio Peloso. 28 opere dal 1979 al 2024


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Inauguriamo venerdì 20 settembre alle ore 18 a Villa Trossi (via Ravizza, 76 Livorno) la mostra di Fabio Peloso dal titolo 28 opere dal 1979 al 2024.

Quarantacinque anni di attività artistica condensati in una summa di meno di trenta opere. Una sfida ben ponderata quella dell’artista livornese invitato a presentare una antologica di opere scelte in dialogo con il contesto di Villa Trossi.

Nato a Livorno nel 1955, con una formazione di grafico pubblicitario, Fabio Peloso fin da giovanissimo matura la sua pratica artistica sul campo. Ad appena venticinque anni, a Milano alla galleria Cannaviello espone un lavoro caratterizzato dalla decontestualizzazione di motivi decorativi geometrici rilevati dalle architetture trecentesche toscane: un’operazione che elevava la decorazione a momento primario, svincolato dalla narrazione figurativa.

Nel 1980 è invitato da Achille Bonito Oliva a partecipare alla mostra itinerante “Genius Loci” ad Acireale, a Malo a Ferrara, dove “in vista del coinvolgimento dell’ambiente, Peloso costruisce anche degli elementi lignei (vere e proprie sculture- oggetto, decorative esse stesse) completamente ricoperti di motivi ornamentali e sagomati a sezione d’arco, da applicare tra la parete e il soffitto.” (Laura Cherubini, in Achille Bonito Oliva, “La transavanguardia internazionale” 1982).

Legato dunque in quegli anni alla riflessione sull’identità artistica italiana, una delle vie del postmodernismo internazionale che ha messo fine all’epoca delle narrazioni, del nuovo a tutti i costi e della fiducia nel progresso lineare della società capitalista, Fabio Peloso partecipa nel 1982 alla mostra “Avanguardia Transavanguardia” alle mura Aureliane a Roma e, nello stesso anno, alla mostra “Critica ad Arte” a Pisa organizzate da Achille Bonito Oliva.

Nel 1984 inizia ad approfondire la pratica dello Zen, con la frequentazione assidua di insegnanti accreditati in Italia e all’estero, pratica che continua attualmente in qualità anche d’insegnante. La mutata percezione della propria realtà influenza naturalmente la sua espressione artistica. Da un lavoro incentrato sul metalinguaggio tipico degli anni Ottanta la ricerca si sposta sulle possibilità linguistiche di poter esprimere la propria esperienza di vita in un modo nuovo.

Questa esigenza linguistica “spirituale” è comune a vari artisti che fanno riferimento a Carlo Cattelani, un collezionista che insieme a Luciano Pistoi organizza nel 1992 nel Castello di Volpaia a Radda in Chianti la mostra “Il paese delle meraviglie e le tavole della legge”. Alla fine degli anni Novanta le ‘parole’ che Peloso inserisce nelle composizioni di legno e plexiglas a contrasto, diventano ‘frasi’ dipinte su pannelli di plastica riprese dagli insegnamenti dei maestri Zen, impaginate in modo da non comprenderne subito il significato. Queste opere vengono esposte nel 1999 alla galleria Lawrence Rubin a Milano, primo artista italiano dopo Rauschenberg e Warhol.

Nel 2003 alla galleria Susanna Orlando a Forte dei Marmi con la mostra personale “Non due” l’artista analizza pittoricamente un concetto fondamentale del Buddismo, quel segno di demarcazione che dà il senso della distinzione e della necessità degli opposti.

Negli anni successivi, la ricerca di coerenza tra l’esperienza spirituale e la ricerca artistica si sostanzia in una serie di piccoli quadri in cui Peloso ripete la parola ‘questo’. Il termine, come scrive Peloso nel 2006, « ha una doppia valenza linguistica. Rimanda tautologicamente a ciò che vediamo, al suo significato semantico, ma al contempo indica l’indifferenziato che permea tutte le cose che pensiamo di capire attraverso l’intelletto raziocinante. La parola è illeggibile da vicino, allontanandosi dall’opera ad una certa distanza rimane fuori fuoco ma leggibile ed è possibile cogliere quel “nascosto” che continua a sfuggirci che è la fonte della nostra sofferenza. “Questo” nascosto non è da cercare lontano ma è in seno all’evidenza, si esibisce continuamente, è così manifesto da non poterlo vedere perché affidiamo la conoscenza alla mente discriminante. Disvelando il velo dell’illusione appare il colore come metafora della realtà liberata da ogni “significato” ».

Le opere della più recente riflessione dell’artista sono realizzate interamente in plexiglas smerigliato e colorato sul fondo: presentate nel 2015 alla galleria Susanna Orlando a Pietrasanta, queste scatole in plexiglas sono posizionate nello spazio, sulle pareti o negli angoli, attraversate dalla luce che interagisce con l’opera a seconda dell’incidenza del momento. Questo colore che è luce e questa luce che è colore si espande sulla parete cromatizzando l’ambiente immediatamente circostante con riflessi aloni e trasparenze. Una pittura evanescente che si fa aria.

Titolo: 28 opere dal 1979 al 2024

Artista: Fabio Peloso

Luogo: Fondazione d’Arte Trossi-Uberti – via G. Ravizza, 76 – 57128 Livorno

Inaugurazione: Venerdì 20 settembre ore 18:00

Apertura mostra: dal 20 settembre al 6 ottobre 2024; dal venerdì alla domenica dalle 17 alle 20; gli altri giorni su appuntamento.

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Renato Barilli, Peloso: una progressione dal materiale allo spirituale, testo per la mostra Impermanente allestita nel 2015 presso la Galleria Susanna Orlando Studio di Pietrasanta (LU)

Mi ero interessato all’arte di Fabio Peloso attorno al 1980, quando eravamo al culmine della fase di “ritorno a”, di recupero delle vecchie tecniche pittoriche da cui era caratterizzato quel particolare momento, e un simile clima di citazione, o di “ripetizione differente”, come lo aveva anche definito in una mostra milanese del 1970, marciava sulle gambe di tre formazioni distinte, l’Anacronismo, la Transavanguardia e i Nuovi-nuovi. Le prime due si proponevano di rilanciare possibilità di figurazione, e dunque il loro problema era di riformulare le immagini, le icone. I Nuovi-nuovi avevano frontiere più larghe, dato che se per un verso si proponevano anche loro di farsi carico di nuove modalità di formulare le icone, affrontavano anche l’aspetto opposto, il linguaggio da dirsi aniconico, rivolto semmai a rilanciare soluzioni di specie decorativa, come negli USA stava facendo il cosiddetto Pattern Painting. Dentro il gruppo dei Nuovi-nuovi, si preoccupavano di un tale problema Luciano Bartolini, Vittorio D’Augusta, Giuseppe Del Franco, Enzo Esposto. E appunto Peloso, free-lance ovvero refrattario a inclusioni collettive, sperimentava soluzioni neo-decorative, arieggiando l’antico e glorioso mosaico, o comunque avvalendosi di apparati ornamentali a base di losanghe e di altri motivi geometrici, affidati anche a una squillante policromia. Poi ci siamo persi di vista, sembra quasi che nel periodo intermedio egli abbia voluto offuscare quegli splendori risorgenti da lontananze remote, o da civiltà extra-occidentali, ricorrendo a un materiale grezzo e spento. Ho sotto gli occhi un suo lavoro fatto di sostanze quali il piombo e il legno, che però l’artista non rinunciava a utilizzare in piccoli listelli, articolando cioè i vari elementi, assegnando loro una presenza “numerosa”, molteplice e frantumata. Al giorno d’oggi l’artista ha proceduto a una fusione di quegli elementi distinti e separati, ricavandone una sorta di spremuta cromatica, da definire in termini di fenomeni chimici. Si può parlare di esalazione, ovvero del passaggio dal liquido all’aereo, o di sublimazione, dal materiale a un gas rarefatto, capace di entrare in gara con gli aloni diffusi e opalescenti che oggi vengono emessi dai neon, oppure dalle luci che inondano i lightbox. Se si vuole, si può parlare anche di una marcia verso esiti di monocromia, che però a mio avviso hanno il vantaggio di mantenere la ricchezza di tavolozza di cui erano pregni i precedenti motivi ornamentali, e dunque sopravvive malgrado tutto la policromia, ovvero le esalazioni cromatiche sono fatte di velature giallastre, o rosate, o azzurrine, quasi che le tessere musive, le piastrelle, i minuti rombi incastonati nei lavori anteriori fossero stati messi in un forno ad alta temperatura, o in un bruciatore, a consumarsi, a mutare stato, con una transizione dal materiale all’aereo, trasportandoci in una dimensione mistica di estasi, che quasi ci invita a venire sperimentata con l’accompagnamento di profumi o di musiche di corrispondente entità.